lunedì 21 marzo 2016

Dialoghi con Iosif Brodskij





LietoColle pubblica i “Dialoghi con Iosif Brodskij” di Solomon Volkov
di Bonifacio Vincenzi

Iosif Aleksandrovič Brodskij era nato nel 1940 a San Pietroburgo, in Russia. Poeta, saggista, drammaturgo. Una vita intensa caratterizzata dal suo amore verso la poesia e innumerevoli difficoltà: la prigionia in Urss, la fuga negli Stati Uniti e poi, nel 1987, nove anni prima della sua prematura scomparsa, culminata con l’assegnazione del Premio Nobel.

Nel 1998 usciva per la prima volta negli Stati Uniti Dialoghi con Iosif Brodskij di Solomon Volkov. Quindici anni di conversazioni con il poeta russo tra il pubblico e il privato dove Brodskij parla della sua infanzia in una Leningrado devastata dalla guerra; parla della sua vita di poeta clandestino; parla dei poeti che sentiva più vicino: Auden, Achmatova, Frost, Cvetaeva…

Il libro di Volkov fu tradotto in molte lingue ma ci sono voluti diciassette anni affinché il libro venisse tradotto anche in Italia grazie ad un editore  come LietoColle  sempre più orientato verso la traduzione della grande poesia internazionale e di tutto ciò che la riguarda.

Solomon Volkov così scrive nella prefazione all’edizione inglese opportunamente tradotta e inserita dall’editore anche in questa edizione italiana:

Questo libro potrebbe essere una guida, una sorta di Baedeker, del territorio artistico ed esistenziale di Brodskij, un territorio spesso strabiliante, mozzafiato, a volte ―proibito. L‘idea è nata alla fine del 1978, quando, per curiosità, ho iniziato a frequentare le lezioni che lui teneva alla Columbia University di New York davanti a un pubblico di giovani americani, perlopiù aspiranti poeti. All‘epoca Brodskij, trentottenne e in esilio da più di sei anni, analizzava per gli studenti i suoi poeti preferiti, riuscendo ad affascinarli e ispirarli con grande naturalezza. Io stesso ne rimasi profondamente colpito.

Fu così che lo avvicinai quasi subito con l‘idea di realizzare una raccolta di conversazioni, una sorta di esplorazione della poesia e della cultura russa, condotta attraverso la lente della sua esperienza. Suggerii che un libro simile avrebbe avvicinato alla letteratura russa nuovi lettori, che avrebbe spalancato loro una nuova comprensione di questo mondo letterario e, con mia grande sorpresa, Brodskij acconsentì con entusiasmo. In quel momento, non sapevo ancora che si stesse preparando al suo primo intervento a cuore aperto. Aveva iniziato a rivolgersi alla morte abbastanza presto, nei suoi versi, anche se è difficile stabilire se le sue preoccupazioni in merito fossero alimentate dai suoi problemi cardiaci o dal suo immergersi nella filosofia esistenziale. In ogni caso, seppur saltuariamente, ha sempre affrontato la questione in modo diretto.”


Ma nel libro c’è molto di più. 420 pagine dove, parafrasando Oscar Wilde, noi tutti diventiamo spettatori del tempo e dell’esistenza di uno dei poeti più importanti della letteratura russa e dove l’anima, l’anima segreta, alla fine, è la sola realtà e si risveglia e rivive nelle nostre emozioni.

A seguire un brano tratto dai dialoghi dove Brodskij parla della Achmatova e di altri poeti e scrittori russi:

Volkov: Di solito si parla di lei come di un poeta appartenente alla cerchia di Anna Achmatova, che l‘ha amata e sostenuta nei momenti difficili e a cui lei deve molto. Ma dalle nostre conversazioni so che, sulla sua formazione poetica, Marina Cvetaeva ha influito molto più dell‘Achmatova, e che lei ha conosciuto le poesie di Cvetaeva prima di quelle di Achmatova. Si può dire dunque che è stata lei il ―poeta della sua giovinezza, la ―stella cometa di quel periodo. Lei parla ancora oggi della creatività di Cvetaeva con incredibile entusiasmo e con una passione che, per un ammiratore dell‘Achmatova come me, sono molto insolite. Molti dei suoi commenti su Cvetaeva, almeno per me, suonano paradossali. Ad esempio, quando parla della sua poesia, spesso la definisce calvinista. Perché?

Brodskij: Prima di tutto per l‘assoluta novità della sua sintassi, che le permette o meglio la costringe ad andare fino al limite estremo del verso. Il calvinismo in fondo è una cosa molto semplice, è una dura lotta dell‘uomo con se stesso, con la sua coscienza e la sua consapevolezza. In questo senso, tra l‘altro, anche Dostoevskij è un calvinista. Calvinista, in sostanza, è l‘uomo che esercita su se stesso una sorta di Giudizio Universale, senz‘attendere l‘arrivo dell‘Onnipotente. In questo senso, non esiste in Russia un altro poeta come lei.


Volkov: E il Puškin della Rimembranza?

E con disgusto io rileggendo la mia vita
Mi sento tremare e maledico.

Tolstoj ha sempre sottolineato l‘aspetto di cruda autocondanna di questi versi di Puškin.

Brodskij: Di solito si pensa che in Puškin ci sia tutto, si è sempre pensato così per più di settant‘anni dopo il duello. Dopo di che è arrivato il XX secolo… Ma ci sono molte cose che mancano in Puškin e non solo per il cambiamento delle epoche, della storia. In Puškin mancano molte cose, sia per una questione di temperamento, sia per un fatto di sesso; le donne sono sempre le più spietate nelle loro pretese morali. Dal loro punto di vista, da quello di Cvetaeva in par ticolare, Tolstoj semplicemente non esiste. Come fonte di giudizio su Puškin, comunque. In questo senso io sono addirittura più donna di Cvetaeva. Cosa poteva saperne il nostro conte ―millelibri di autocondanna?

Volkov: Ricorda Festino in tempo di peste? ―Si dà un‘ebbrezza nella guerra, sul ciglio del pauroso abisso IV: in questi versi di Puškin non si sente la furia delle forze elementari, l‘impeto della ribellione, come in quelli di Cvetaeva?

Brodskij: In Cvetaeva non c‘è nessuna ribellione, Cvetaeva è una radicale impostazione del problema:

La voce della verità celeste
contro la verità terrestre.

In entrambi i casi – si badi bene – dice ―verità. In Puškin questo non c‘è, soprattutto la seconda verità. La prima è evidente, ed è stata completamente usurpata dall‘ortodossia. La seconda, nel migliore dei casi, è soltanto una realtà, ma non la verità.

Volkov: Mi sorprende sentirglielo dire. Ho sempre pensato che Puškin parlasse anche di questo.

Brodskij: No, questo è un argomento enorme e sarebbe meglio non toccarlo. Cvetaeva qui parla davvero del Giudizio Universale, del ―giorno dell‘ira, che è veramente tale, non fosse altro per il fatto che tutti gli argomenti a favore della verità della terra sono già stati elencati, e in questo elenco Cvetaeva arriva fino al limite estremo, anche se sembra si lasci trasportare. Proprio come gli eroi di Fëdor Michajlovič Dostoevskij. Non dimentichiamo che Puškin è un ari-stocratico. E, se vogliamo, un inglese nel suo rapporto con la realtà, un membro di un club inglese: ed è sempre discreto, in lui non c‘è angoscia, non ce l‘ha. Non c‘è neanche in Cvetaeva, ma il suo modo di fare domande à la Job, alla maniera di Giobbe, ―o questo, o niente, genera quell‘intensità che in Puškin non si trova. E i suoi puntini sopra la ―ë vanno oltre ogni connotazione musicale, ogni epoca, ogni contesto storico, ogni esperienza personale e tempera-mento. Sono lì perché lo spazio sopra le ―e deve essere riempito.


Immagini in ordine di apparizione: 1. Copertina del libro; 2. Solomon Volkov; 3. Brodskij da giovane; Marina Cvetaeva.

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